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OLTRE LA FRONTIERA QUANTISTICA: UNA STORIA APPASSIONANTE

Massimo Auci
OdisseoSpace
(Parte terza)
3. – La sorgente reale: il modello

Un modello o una teoria che, a partire dall’elettromagnetismo, voglia tentare di descrivere unitariamente uno o più aspetti fisici peculiari di teorie fra loro molto differenti, come la Meccanica Quantistica e la teoria della Relatività di Einstein, per essere valido deve essere autoconsistente. Deve cioè permettere di ottenere per via teorica delle previsioni numeriche corrette, verificabili sperimentalmente e soprattutto che per essere ottenute non debbano richiedere l’uso di concetti estranei all’ambito teorico originale.

Per esempio, per descrivere l'interazione di una coppia di particelle cariche in interazione a partire dal solo elettromagnetismo, si devono descrivere aspetti fisici differenti come il comportamento corpuscolare, materiale e relativistico della materia, quello quantistico e in certi casi, anche gli effetti gravitazionali. Tutto però senza introdurre concetti estranei alla teoria elettromagnetica sulla quale si basa il modello. Impossibile? Roba da giocolieri? Forse, ma i fisici sono così, sono curiosi e amano l'avventura verso l'ignoto.

La prima idea la ebbi nel 1979; provai prima con semplici modelli dipolari, quelli consueti dell'elettrodinamica, ma per ottenere previsioni fisicamente corrette, dovevo considerare un modello di sorgente che avesse le stesse caratteristiche dipolari di un atomo di idrogeno e fosse di facile gestione teorico-formale, soprattutto impedendomi di mescolare inavvertitamente aspetti corpuscolari provenienti da modelli meccanico-relativistici della materia con aspetti ondulatori-quantistici.

In fisica, la semplicità del modello è un elemento essenziale, raggiungibile non mediante l’approssimazione della realtà, bensì con la riduzione del modello agli elementi fenomenologici fondamentali. In questo caso, bisognava tentare di descrivere per via matematica una sorgente elettromagnetica “reale” (vedi figura), non puntiforme, la cui energia prodotta dipendesse dall'interazione elettromagnetica e non dalle condizioni dinamiche iniziali delle particelle.

Decisi perciò di usare come modello una coppia di cariche prive di massa, due cariche “pure”, di segno opposto, non soggette alla legge d’inerzia e sensibili alla sola forza elettromagnetica. Inoltre, per evitare di imporre forzosamente condizioni derivanti da involontari mixing dei valori delle costanti elettromagnetiche fondamentali, che avrebbero potuto introdurre effetti estranei al modello elettromagnetico, preferii non assegnare alle cariche il consueto valore della carica elettrica dell’elettrone e ipotizzare che il moto relativo avvenisse solo a velocità inferiore a quella della luce nel vuoto.

Il modello così impostato, permetteva un’accurata analisi dei campi vettoriali elettromagnetici che circondavano la sorgente. Sotto queste condizioni, il modello si poteva adattare a descrivere numerose situazioni fisiche reali, come le interazioni tra protone ed elettrone, tra coppie di ioni e tra coppie di particelle elementari, offrendo il vantaggio di non dipendere dallo stato dinamico iniziale delle particelle, quindi da forze potenzialmente diverse da quella elettromagnetica. Il modello permetteva anche di affrontare situazioni meno classiche, un po' più speculative e non completamente aderenti alla consueta fenomenologia fisica.


L’analisi delle variabili dinamiche del modello, evidenziò subito una dipendenza dell’energia e della quantità di moto della sorgente dalla distanza minima raggiunta dalle cariche durante l'interazione. Per evitare quindi ogni possibile scelta arbitraria della distanza d’interazione, occorreva individuare l’eventuale esistenza di limiti fisici nell’estensione della sorgente di dipolo.

Analizzando il profilo emissivo della sorgente (vedi figura) in funzione della profondità di osservazione e della distanza d’interazione, che misurano in rapporto alla lunghezza d’onda d’emissione della sorgente quanto un osservatore immerso nel campo elettromagnetico è prossimo al centro del dipolo e quanto le due cariche sono reciprocamente distanti, trovai la prima sorpresa.

Il dipolo aveva un comportamento molto differente da quello di una sorgente ideale puntiforme (in blu). La correlazione
del profilo luminoso con la profondità di osservazione e con la distanza d’interazione, permetteva di individuare chiaramente la presenza di una zona sorgente.

Infatti, nella fase di avvicinamento delle cariche il profilo della luminosità variava partendo da zero, quando le cariche erano a distanza di 1,5 lunghezze d’onda (della sorgente in formazione), raggiungendo la massima luminosità alla distanza di una sola lunghezza d’onda: equivalente alla minima distanza d’interazione tra le cariche. Durante la fase di allontanamento delle cariche, il profilo emissivo diventava invece simile a quello di una sorgente puntiforme (in rosso).

I valori delle distanze d’interazione che caratterizzavano lo zero e il massimo della luminosità, potevano essere correlabili agli estremi della “zona sorgente” entro la quale il dipolo produceva energia e quantità di moto elettromagnetica. Invece, per distanze d’interazione corrispondenti all'inizio della formazione della zona sorgente, la luminosità negativa descriveva il dipolo come un assorbitore di energia.

Nella zona sorgente invece, la produzione di energia e di quantità di moto, era inversamente proporzionale alla minima distanza d’interazione raggiunta dalle cariche in avvicinamento.

Il dipolo "registrava” nella lunghezza d’onda le condizioni energetiche iniziali delle particelle in interazione: una sorta di “memoria” dell’evento originale.

L'esistenza di una zona sorgente significava che in una qualunque interazione elettromagnetica, il tempo associato alla durata e allo spazio occupato dalla “collisione”, con la quale si formava la sorgente di dipolo, non era illimitato come normalmente si riteneva, ma ben delimitato.

Se consideriamo poi l’evoluzione dinamica della sorgente nel caso di inversione temporale del moto delle cariche, per simmetria temporale, si dice anche per specularità, l’interazione elettromagnetica doveva avere complessivamente una durata doppia. Il tempo di collisione così calcolato, oltre a coincidere significativamente con quanto stabilito per via sperimentale in elettrodinamica, coincide con il periodo di emissione della sorgente ed è in effetti uguale al tempo necessario alla formazione del primo fronte dell'onda associato al segnale elettromagnetico emesso dalla sorgente.

La dipendenza del modello dalla sola carica elettrica, per definizione “puntuale”, cioè priva di estensione spaziale, suggeriva inoltre l’assenza di possibili effetti di schermo tra le cariche. Quindi nel caso che oltre ad una coppia di cariche fossero presenti anche altre cariche tutte di ugual segno, ogni carica è ugualmente "visibile" dalle altre di segno opposto, quindi per effetto del moto è possibile considerare la formazione di tante sorgenti elettromagnetiche contemporanee quante sono le combinazioni di cariche positiva-negativa. Per esempio, se un elettrone in moto interagisce con un nucleo di elio (due cariche positive), si formano due sorgenti distinte, ciascuna delle quali contribuisce a produrre e localizzare nel proprio intorno una certa quantità di energia.

Nel 1980, il modello, almeno nelle sue linee essenziali, era completo. Mancavano però informazioni precise sulla limitatezza della zona sorgente e questo mi impedii di ottenere valutazioni realmente attendibili sino al 1985. Più che qualche risultato formalmente buono, e qualche valutazione numerica di bassa precisione e troppo arbitraria, non mi fu possibile ottenere.

La curiosità di giungere ad un risultato corretto e dimostrabile, che mi desse soprattutto la possibilità di fare delle valutazioni numeriche esatte sul contenuto energetico della sorgente, era talmente tanta da darmi la forza giorno dopo giorno di lavorare ignorando caparbiamente ogni tipo di critica al mio lavoro, anche quelle illustri. (continua)


Bibliografia
(1) M.Auci. “A Conjecture on the physical meaning of the transversal component of the Poynting vector”. Phys. Lett. A 135 (1989) 86.
(2) M.Auci. “A Conjecture on the physical meaning of the transversal component of the Poynting vector. II. Bounds of a source zone and formal equivalence between the local energy and photon”. Phys. Lett. A 148 (1990) 399.

Le parti successive dell'articolo verranno pubblicate tutti i mercoledì.


GIA' PUBBLICATI

1. – Introduzione
2. – La frontiera


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